C’è un grande prato che dà sul lungofiume
che sembra un’aia ed è chiamato il Lera.
Ricordo panni stesi ad asciugare
e reti e barche pronte per pescare.
I figli della povera gente lì giocavan
si divertivan con niente.
Volavan gridi, rimbalzavan schiamazzi,
il prato si animava c’eran bimbi e ragazzi.
Ricordo il sole che nel suo declino
portava un po’ di pace e di frescura
ed il fiume con lento cammino
regalava una tregua alla calura.
Giungeva l’ora delle lavandaie
si sentivan le loro cantilene
scendevan dalle case, vispe e gaie
reggendo tra le braccia ceste piene.
Insaponavan e sciacquavan fino a sera
poi tornavan da dove eran venute
mentre l’aria rinfrescava il Lera
e le case attorno si facevan mute.
Il buio arrivava repentino
e cielo e fiume uno diventavan:
sopra, le stelle puntini d’oro fino,
sotto, i lumini delle barche che pescavan.
E nel firmamento, come un destino arcano,
sorgeva la grande madre luna piano, piano.