“Come un sole a mezzanotte” di Maria Sabina Coluccia –
Marta girò su off il motore della sua auto, una piccola utilitaria color grigio metallizzato, appena finita di pagare e spense i fari. Aveva parcheggiato nello spiazzo sterrato di fronte al mare, quello privato della Luna Sul Blu, lo chalet marino dove l’attendeva la sua amica Federica, per trascorrere insieme in allegria quel sabato sera di luglio. Si slacciò la cintura di sicurezza e diede una sistemata al top nero, che metteva in evidenza il suo bel seno, una terza ben proporzionata. Tirò fuori dalla borsetta di strass il suo rossetto d’ordinanza, rosso ciliegia, e via, una ripassata sulle morbide labbra, che già si preparavano ad accogliere il bacio, tanto desiderato, quanto sofferto e immaginato, dalla fine dell’inverno, di quello che lei aveva soprannominato il suo Sole. Le sue giovani labbra carnose avevano già sfiorato la pelle chiara del ragazzo che le aveva rubato il cuore e il sonno. Era successo cinque mesi prima, a febbraio, durante una serata come questa, di tanghi argentini e milonghe sensuali. Era la fine dell’inverno: l’aria si era fatta via via più tiepida e il cielo si andava schiarendo, acquarellando il grigio e l’azzurro, sapientemente diluiti con qualche spruzzata di pioggia. Non era molto esperta di tango argentino, ancor meno nell’arte della mirada. Adocchiare un possibile ballerino, posizionato dalla parte opposta della pista, come vuole il galateo del ballo più sexy del mondo, non era impresa facile. Agganciare addirittura lo sguardo di lui le risultava poi imbarazzante oltre misura. Appena i suoi occhi incrociavano quelli di un giovanotto disponibile a invitarla, Marta diventava rossa come un peperone, si voltava, mandando in frantumi la possibilità di ballare un tango come Dio comanda, con qualcuno che sapesse veramente muovere piedi e cuore nella stessa direzione. Finiva perciò spesso la serata seduta, a fare tappezzeria. Quando era fortunata si ritrovava a trotterellare tra le braccia insicure di ballerini inesperti, che la sbatacchiavano a destra e a sinistra, convinti di far colpo con qualche passo da tango-show. Quella sera di fine inverno però fu diversa. L’odore delle zeppole, delle castagnole, degli arancini, quel profumo dolciastro di zucchero e miele le era rimasto appiccicato all’abito stretto, rosso, che fasciava e metteva in risalto tutte le sue forme di trentenne, ancora carica di fascino e desiderosa di un amore che fosse grande e vero. Una mascherina sul volto la nascondeva agli occhi degli altri ballerini. Lui, il suo Sole, quello bravo che non la degnava mai di uno sguardo, anzi, faceva a pezzi tutte le sue “mirade” e si esibiva solo con le migliori ballerine, le aveva concesso l’ultimo ballo e al termine l’aveva salutata e ringraziata così, con un lieve bacio sulle guance, sfiorandole gli angoli della bocca. Marta era rimasta imbambolata, il cuore sospeso, il respiro strozzato e lo stomaco improvvisamente evanescente. Si era portata il ricordo quel bacio dentro la testa e il cuore per mesi. Quella sera sperava di rivedere il suo Sole, così lo aveva ribattezzato, non sapendo neppure il nome di quel misterioso e affascinante ballerino, impeccabile nel suo stile sobrio, camicia bianca e pantaloni neri, un gilet scuro, e le scarpe arrivate direttamente da Buenos Aires. Erano trascorsi cinque mesi da allora e Marta non lo aveva più rivisto ma aveva pensato a lui tutte le notti prima di abbandonarsi al sonno. Quella sera aveva come un presentimento, un canto nel cuore. Le stelle si erano accese, come riflettori sul mare scuro e sullo chalet dove si svolgeva la festa. Un sospiro lungo, per farsi coraggio, poi Marta scese dall’auto e si avviò all’interno del locale, col cuore in gola. Chissà se lui era lì, chissà se stava già ballando con qualche ragazza, chissà se la avrebbe riconosciuta. Seguì la melodia, languida, che si faceva sempre più insistente, oltrepassò alcuni turisti seduti ai tavolini del bar del locale, e in pochi minuti si trovò a bordo pista.
Le luci e la musica la trasportarono subito fuori dalla dimensione ordinaria. Mentre strizzava gli occhi e acuiva tutti i sensi in cerca del suo Sole si sentì toccare una spalla. Si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli conosciuti e rassicuranti della sua amica Federica.
“Sei arrivata” – le disse lei. “Eccolo lì, lo vedi? Sta a bordo pista – continuò indicandolo a Marte – dall’altra parte, lo vedi? Dai, raggiungilo. Salutalo e inizia a parlargli”. Marta la squadrò come se fosse di fronte a una aliena.
“Sei impazzita? Quello neppure si ricorda di me”. Tornò alla musica, che in quel momento invitava a una allegra milonga. Chiuse gli occhi e immaginò di essere tra le braccia del suo Sole. Riaprì gli occhi e la sua amica Federica era già avvinghiata al marpione di turno, che non si era fatto scappare l’occasione di ballare con una bella ragazza. “Almeno Federica si diverte – pensò Marta incupendosi – mentre io sto qua, e il mio Sole neanche si è accorto di me”. Un attimo dopo si sentì stringere per la vita. Con un sussulto voltò il capo e in pochi secondi si trovò circondata senza possibile via di fuga da due braccia enormi e pelose, che la schiacciavano a un petto villoso e dall’odore leggermente pungente. La camicia del suo sconosciuto ballerino era aperta sul davanti ed era anche un po’ sudaticcia: un mix perfetto per scappare lontano, Marta però non riusciva a liberarsi, ormai era condannata a terminare la veloce milonga con quell’energumeno puzzolente.
“Sei brava – le disse il suo ballerino del momento, un ragazzotto pieno di muscoli – e anche molto sexy” e subito dopo una manona scivolò lungo la schiena della povera Marta, che cercava disperata di incontrare gli occhi del suo amato Sole. Ma niente, gli passò vicino, in un intreccio di gambe, cosce, e ondulazioni di anche, ma non ci fu proprio niente da fare. Lui, il Sole, continuava a fissare il vuoto, apparentemente preso dal ritmo della musica, poggiato alla balaustra della pista, bersaglio di innumerevoli fanciulle, che gli si avvicinavano speranzose, ma puntualmente venivano da lui liquidate con un “no, grazie, non mi va di ballare”. Finalmente la musica terminò e lei poté liberarsi dalla morsa di quell’energumeno. Svicolò via leggera e si avvicinò al suo Sole. Era a pochi metri, stava per apostrofarlo, quando una bionda esplosiva si frappose tra lei e lui e lo trascinò senza pietà in pista. Marta restò come un pesce fuor d’acqua, senza respiro per qualche secondo, e tutto il coraggio che aveva raccolto nel tempo del ballo precedente svanì di colpo. Un po’ d’alcool, le serviva un po’ di alcool. Federica riapparve dal nulla, con un bel sorriso stampato in faccia.
“Allora? Ti stai divertendo? Io un sacco!” – strillò euforica sui suoi dodici centimetri di tacchi. “Stai scherzando?! – rispose Marta – sono appena scappata da un abominevole uomo delle nevi pelosissimo e puzzolentissimo, che mi ha pure toccato il sedere. Stavo per rivolgere la parola al mio Sole, ma è arrivata una tipa che lo ha trascinato a ballare. Niente, sono proprio sfortunata. Questa storia non ha un futuro!”. Marta sprofondò in una profonda tristezza e Federica pensò di risollevarle il morale proponendole una sosta al bar.
“Sarà meglio – commentò Marta – andiamo a bere per dimenticare!”.
“E’ l’approccio mentale che sbagli – commentò Federica mentre sorseggiavano il loro Negroni – vuoi vedere che dopo questo bicchiere di allegria pura andrà meglio?” Approccio mentale, certo. “Uh guarda, c’è quel ragazzo fichissimo con cui ho ballato prima. Scusami ma non posso farmelo scappare. Vado. Tu rifletti e datti una mossa col tuo Sole. Aggancialo!”. Approccio mentale, si ripetè Marta. Dov’è che sbaglio? Mi considero una ragazza, oddio, ormai diciamo più una donna, carina. Sì carina. Non sono una strafiga, però sono alta, e com’è che si dice? Altezza mezza bellezza. Ecco. Un punto a mio favore. Ho trent’anni e so stare bene da sola. Diciamo che mi sono abituata a stare da sola, è più onesto. Dio quanto vorrei un uomo innamorato vicino a me in questo momento! Ma che dico? Io sono forte e indipendente. Riesco benissimo a stare da sola. Sì vabbè, però magari qualche volta un cinema, una pizza, una coccola, un abbraccio, una notte di passione mica mi farebbero schifo!
All’improvviso si sentì estranea a quella musica, a quel ritmo, e si abbandonò alla sua tristezza. Lasciò la pista, si tolse le scarpe col tacco e si diresse verso la spiaggia. Gli ombrelloni erano tutti chiusi, come era normale che fosse a quell’ora, e l’aria umida del mare le pungeva la pelle. Si infilò il golfino di finta pelliccetta nera e se lo strinse sul davanti, a coprire i seni generosi. Arrivò quasi sulla battigia. Lo sciabordio dell’acqua color della notte, illuminata a tratti dal chiarore della luna e delle stelle, le fecero l’effetto di una cantilena ipnotica. Si sedette su uno dei lettini dello stabilimento balneare. Federica, la festa tanguera, l’energumeno e il suo Sole erano alle sue spalle. Osservava l’onda leggera del mare, che andava e veniva, andava e veniva. Forse dovrei avere il coraggio di farmi avanti, pensò. In fondo cosa mi costa cominciare a parlargli? Eppure si sentiva inspiegabilmente frenata. Andare e venire, avanzare e indietreggiare. E’ la danza della vita. Chi resta fermo è perduto e perde occasioni. Pensò che Federica avesse ragione. Federica si buttava, non si tirava mai indietro, ed era benvoluta e ricercata. Lei al contrario, chiusa nel suo orgoglio di donna impaurita, terrorizzata dal possibile rifiuto, restava sul picco della montagna, non scendeva mai incontro agli uomini. “Per cambiare atteggiamento mentale ci vorrebbe un miracolo” sospirò tra sé e sé. Il rumore della ghiaia umida, mossa alle sue spalle, la fece voltare, un po’ allarmata. Uno ragazzo alto, biondo, dagli occhi scuri, stava avanzando verso di lei. Le chiese se poteva sedersi lì, accanto a lei, non l’avrebbe infastidita, voleva solo stare in silenzio davanti al mare. La prima reazione di Marta fu di alzarsi e andarsene, in preda al sospetto e al timore di quello sconosciuto. Poi si disse che quella forse era l’occasione che aspettava per cambiare atteggiamento verso gli uomini. Lo squadrò da cima a fondo e decise che non poteva essere pericoloso. Indossava un paio di jeans chiari e una camicia grigia dai riflessi lunari. Avanzava scalzo e lanciava sassolini in acqua. Quando le fu abbastanza vicino lo riconobbe. Era il suo Sole. Ebbe un tuffo al cuore. A lei sembrò che lui non la riconoscesse. Del resto come avrebbe potuto? Quando si erano incontrati, in quella serata di fine inverno, era Carnevale e lei aveva una mascherina argentea sul viso.
“Ciao – disse lui – mi chiamo Vittorio – bella serata, vero?” Marta era emozionata, ma cercò di non farlo vedere troppo.
“Se ti riferisci alla musica, sì. E anche qui si sta bene, non c’è vento, la luna e le stelle illuminano la notte”.
“E pure i cuori” commentò Vittorio. Marta restò spiazzata da quelle parole e diventò rossa in volto. Lui le prese la mano. Marta sentì che era un po’ fredda.
“Ho aspettato che tu ti avvicinassi a me durante la serata ma non lo hai fatto – disse lui con aria seria, continuando a tenerla per mano – per questo sono venuto a cercarti qui”. Marta era confusa. “Mi conosci?” gli chiese con curiosità.
“Conobbi una bella ragazza a Carnevale – rispose lui – ballammo insieme l’ultimo tango della serata. Dopo di allora non ho più ballato. Lei aveva una mascherina color della Luna sul volto ed era una ragazza bella e simpatica. Ho pensato molto a lei, dopo quel ballo, e anche dopo. Non l’ho più rivista. Poi stasera ho incrociato i tuoi occhi e mi è tornata in mente lei. Chissà, potresti essere tu quella ragazza”. Marta stava per rivelargli che sì, era lei quella ragazza e che finalmente si stavano ritrovando. Poi lui la gelò.
“Sì Marta, ti ho riconosciuto, ma ormai è tardi. Il mio tempo qui è finito. Mi è stata data l’occasione di rivederti, per l’ultima volta, per lasciarti queste parole” concluse lui, continuando a tenerle la mano. Marta non riusciva a trattenere lo stupore e la gioia per quell’incontro, anche se un senso di sconforto la stava invadendo, e non ne capiva il motivo. Lo abbracciò istintivamente, e sentì il suo corpo rigido e freddo.
“Hai freddo?” gli chiese mentre lui si scioglieva da quell’abbraccio e raccogliendo sassolini riprendeva a lanciarli nel mare. Lui la guardò con amore e le rispose che il suo corpo era freddo, ma il suo cuore si scaldava al tepore del Sole, un Sole speciale, che non è di questo mondo.
“Marta – disse lui abbracciandola di nuovo – non devi avere paura della vita. Esci dalla tua solitudine e vai incontro ai tuoi simili, vai incontro all’amore. Guarda queste piccole onde del mare, come avanzano e si ritraggono. Così è la vita, un continuo movimento, abbi fiducia e riceverai amore. Per me ormai è tardi, io non appartengo più a questa vita. La sera di Carnevale, dopo il nostro ballo, ho avuto un incidente sulla strada di casa, con la macchina. Sono qui per liberarti, per liberare il tuo pensiero e farti volare incontro alla vita. Ora devo andare. Promettimi che farai come ti ho detto. Voglio vederti felice”. Vittorio la abbracciò un’ultima volta e la baciò, sfiorandole le labbra. Per un attimo la scintilla della vita si riaccese in lui e Marta fu avvolta da un’onda di calore mai sentita prima. Poi Vittorio si sciolse dall’abbraccio e si diresse verso il mare. Entrò in acqua e si dissolse. Marta si stropicciò gli occhi non sapendo se stesse sognando o se quello a cui stava assistendo fosse realtà. D’istinto lo rincorse ma quando arrivò incontro al mare e l’acqua le lambì i piedi capì che Vittorio non c’era più davvero. Tornò indietro, e raccolte le sue scarpe rientrò nel locale dove la festa era ancora in corso. Trovò la sua amica Federica abbandonata su un divanetto in vimini, abbracciata a un tipo che lei non conosceva. Ridevano felici e le fecero un cenno di saluto veloce: si capiva che erano presi da altre faccende. Diede uno sguardo alla pista, sperando di aver avuto un incubo a occhi aperti, e di veder spuntare Vittorio all’improvviso, ma non c’era traccia di lui. Capì che non aveva sognato. Tornò verso l’amica, la staccò con decisione dall’abbraccio di quell’uomo sconosciuto e le disse che sarebbe tornata a casa, che per lei la festa era finita. Federica fece di sì con la testa e tornò a sbaciucchiarsi il belloccio che aveva tra le mani.
Marta tornò a casa piena di pensieri. L’incontro con Vittorio, arrivato proprio per lei, da un’altra dimensione l’aveva provata. Aveva ancora più desiderio di chiudersi in se stessa. Arrivata a casa si preparò per la notte e grande fu la sua sorpresa quando sul suo cuscino trovò alcuni sassolini di mare. Capì che glieli aveva lasciati lì Vittorio, per darle un segno tangibile. Come le onde del mare, vanno e vengono, sentì risuonare nella testa, così la vita è un continuo movimento. Non ti fermare, avanza con fiducia, riceverai l’amore…
Due giorni dopo Marta era di nuovo al lavoro, nel suo ufficio. Rispondeva al telefono e alle e-mail nel negozio di informatica di suo padre. Ripensava all’incontro straordinario avuto la sera di sabato sulla spiaggia, con il suo Sole. Rifletteva e capiva che lui aveva ragione, ma che lei era fatta a modo suo, e non sarebbe mai cambiata. La vita sarebbe trascorsa e lei sarebbe rimasta sola. Poi una mail si impose alla sua attenzione. Era di un tecnico informatico, che lavorava per una grande società, la Urano. Non si erano mai visti di persona, ma avevano una fitta corrispondenza di lavoro. Quel giorno Stefano, il tecnico informatico che aveva appena scritto, sarebbe capitato nella sua città, e la invitava a pranzo: finalmente si sarebbero conosciuti. Stefano l’aveva invitata più volte, ma lei aveva sempre accampato scuse, il pensiero sempre al suo Sole, di cui non conosceva niente, neppure il nome. Le bastava pensarlo, e si sentiva bene. In fondo al suo cuore aveva la convinzione che lui fosse l’uomo della sua vita. Ora, dopo averlo incontrato fantasma sulla spiaggia, le cose erano cambiate molto. Stava cominciando a capire che attaccarsi a un pensiero può essere distruttivo, impedisce alla vita di fluire, sbarra la strada ai doni che attendono di entrare nelle nostre giornate, se solo tendiamo le mani per prenderli. Decise di accettare l’invito a pranzo di Stefano. Lo doveva a se stessa prima di tutto, ma anche a Vittorio. Guardò l’orologio: era ora di spegnere il computer, Stefano sarebbe arrivato tra pochi minuti. Si impresse bene l’ora nella mente: erano le undici e undici minuti. Si ricordò che nel significato dei numeri l’undici è associato al cambiamento, a una porta che si apre per essere attraversata. Capì: il cambiamento era lì che la chiamava, la sua porta stava per essere attraversata. Una nuova vita, fatta di gioia e amore la stava aspettando.