Oggi un racconto di Maria Vezzoli, in omaggio alle donne ed al loro stile


Primi anni ’60, Milano , La signora Ester

La Ester era una sarta bravissima, come non ce n’è molte. Era anche bella, alta, figura perfetta, faccino minuto, grandi occhi azzurri. Con il suo aspetto da principessa e il gusto davvero squisito di cui dava regolarmente prova nel suo lavoro, faceva curiosa mescolanza il suo parlare. Ester usava infatti volentieri un milanese schietto e genuino, frizzante,  con qua e là delle parole osé che faceva precedere da un “la me scüsa”, mi scusi. E così, mentre con spilli e gesso mi pennellava addosso il tailleur, faceva salaci e compiaciuti commenti sulla forma del seno e del sedere, mio e anche di altre clienti, di cui però non faceva mai il nome, perché davvero non era per nulla pettegola.
sarta
C’era una cliente, una “sciura” che “la gh’aveva la mania del petto”. “Ester, si vede bene,  il petto?” era la sua ossessione. Mentre raccontava, Ester mi lodava perché, pur avendo un “petto” fiorente, io quella mania non l’avevo. Anzi, m’ingobbivo un po’. Mi faceva sentire carina, era bello ricevere complimenti. In casa mia non si lodava mai l’aspetto fisico. La misteriosa signora “del petto” le faceva sempre approfondire le scollature, e a ogni sforbiciata declamava “godi popolo!”. Così la Ester, oltre che dare un po’ di cibo alla mia scarsa autostima, arricchiva di striscio la mia modesta educazione sessuale.

Interi poemi in dialetto milanese riguardavano “la me scüsa, el büs del cü”, che non era quel che si potrebbe pensare di primo acchito, ma era quel vuoto sopra le natiche tipico dei sederi a mandolino, un vuoto fatale che costringeva a pizzicare il tessuto di gonne e pantaloni in pinces strategiche, adeguate a non far risultare e risaltare un inelegante gonfiore del tessuto – i tessuti elasticizzati erano ancora in embrione-sopra il citato “büs del cü”.

E quando mi feci crescere i capelli, tanto che arrivarono a essere lunghi serpenti arricciati, la mia arbitra elegantiarum mi guardò con aria perplessa e mi disse “Basta, Maria, cusa la spèta, che i cavèi ghe rìven al büs del cü?” ( basta Maria, cosa aspetta, che i capelli le arrivino al…? meglio non scriverlo, in italiano). Con la poca eleganza dei termini mi diede una vera lezione di stile.

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