Il mestiere di scrivere un libro, come lo vedeva Oriana Fallaci


In queste poche righe tratte da una lettera che Oriana Fallaci scrisse al suo amato Panagulis (vedi “La Paura è un peccato” Rizzoli) Oriana si rende conto che Aleksos non possa trasformarsi uno scrittore malgrado le insistenze sue e dell’editore:

… Io ho fatto quello che potevo per svegliare in te la voglia, il bisogno di scrivere questo libro. Ti ho ubriacato di parole. ti ho spiegato che non si può scrivere un libro nei ritagli di tempo, un poco oggi e un poco tra quindici giorni. Ti ho detto che non è serio. Che un libro non è una poesia. Non è un urlo, o una serie di urli. Un libro è un lavoro continuo, metodico, noioso, crudele…

e gli consiglia quindi di affidarsi a un ghost writer. Ma non vogliamo parlare della professione di ghost writer, scrittori su commissione che comunque non “rubano il libro” ai molti personaggi per i quali lo scrivono, bensi vogliamo portare all’attenzione di chi vorrebbe essere o è uno scrittore, sugli aggettivi che Oriana usa per identificare il lavoro: continuo (“nulla dies sine linea“come scriveva Plinio il Vecchio), metodico, perchè ci vuole disciplina, e crudele. E sulla crudeltà vogliamo insistere, perchè è crudele, per uno scrittore, sia vedersi rifiutare il proprio testo o non vederlo selezionato, che il giudizio del lettore, ma sarebbe soprattutto crudele che proprio lui non gli dedicasse la giusta fides, (lealtà) contaminata dall’ambizione.

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