La nostra recensione: “La vegetariana”


romanzo di Han Kang

2019

Cosa dire di questo romanzo scritto da Han Kang nel 2019 della collana Adelphi?

Partiremo dal titolo: “La vegetariana” che potrebbe però indurre molti lettori in inganno, facendo loro pensare di trovarsi immersi in una storia ben diversa da quella scritta con forza e spregiudicatezza dall’autrice. La narrazione è un crescendo che culminerà non in una felice e consapevole scelta di abbandonare la carne, bensì in una tragedia personale, famigliare e sociale.

Scorrendo pagina dopo pagina ci si trova infatti immersi in una trappola, quella nella quale spesso ci si imbatte quando gli altri non vogliono comprenderci e non accettano che possiamo operare delle scelte drastiche, anche se solo rivolte a noi stessi.

Così la famiglia per la protagonista diventa la prima artefice della sua infelicità, della sua emarginazione che la costringerà al silenzio, unico alleato nel quale rintanarsi, come un animale braccato. E poi il disagio diventa una preda ingorda sulla quale accanirsi da parte un uomo, guarda caso un componente del nucleo familiare (sembra proprio che Han Kang voglia dirci che ognuno di noi ha un lupo all’interno delle proprie mura) e, via via, la discesa.

Rovinosa caduta verso un abisso senza ritorno, attraverso la pazzia, comoda diagnosi per controllare la negazione incompresa di mangiare animali; e poi il sogno di tornare albero, con le radici che affondano nel terreno, incuranti di vedere il mondo capovolto. E poi il rimorso, quello dell’unica persona che avrebbe potuto comprendere la protagonista vegetariana, ma che arriva tardivo.

Non è semplice etichettare una storia così, esprimerne un giudizio, limitarsi a dire “è bella, è inquietante, è un pugno nello stomaco” e mille altre affermazioni per tentare di inquadrare un romanzo come questo.

Noi, che lo abbiamo affrontato proponendoci l’imparzialità vogliamo limitarci a evidenziare di esso la grande capacità narrativa di Han Kang, la sua forza di scavo e il suo coraggio.

Coraggio di scrivere storie che facciano parlare, vendere, affiorare ciò che forse (e questo è il nostro sentire) non guarirà i mali della mente e non aiuterà a farlo chi ne è vittima o spettatore.

E così allora, arrivando in fondo all’ultima pagina, non possiamo fare a meno di domandarci? A chi serve una storia così?

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